La legislazione italiana è, tutto sommato, abbastanza permissiva in tema di detenzione di armi. Contrariamente al diffuso luogo comune, infatti, qualunque cittadino incensurato, privo di problemi psichiatrici, non alcolista e non tossicomane, ha diritto ad acquistare e detenere un’arma, sia pure ad alcune condizioni: vediamo quali.
di Biagio Mazzeo – magistrato
In questa sintetica esposizione non ci limiteremo a precisare quali siano le regole vigenti in materia ma citeremo anche le esatte disposizioni di legge che le prevedono. Questo accorgimento consentirà ai lettori di rendersi conto di quali siano le fonti normative delle nostre affermazioni e di poterle indicare ai propri interlocutori della Polizia o dei Carabinieri, se poco informati in materia.
Per quanto riguarda acquisto e denuncia, le norme fondamentali sono ancora contenute nel Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza (di seguito TULPS) e nel suo regolamento (Reg. TULPS).
L’articolo 35, comma 5, del TULPS stabilisce che è vietato vendere o in qualsiasi altro modo cedere armi a privati che non siano muniti di permesso di porto d’armi ovvero di nulla osta all’acquisto rilasciato dal questore.
Pertanto, nessuno può acquistare un’arma – neppure a titolo gratuito – se non è titolare di un permesso di porto d’armi (licenza di porto di fucile per uso caccia, licenza di porto di fucile per il tiro a volo, licenza di porto di pistola o rivoltella per difesa personale, licenza di porto di fucile per difesa personale) o in alternativa, qualora sia sprovvisto di una di tali licenze, di una speciale autorizzazione concessa dal questore della provincia di residenza, dalla legge chiamata appunto nulla osta all’acquisto.
Partiamo da quest’ultima autorizzazione, per le ragioni che il lettore presto comprenderà.
Il nulla osta all’acquisto
Il nulla osta deve essere richiesto al questore in carta libera ma la legge (comma 7 del citato articolo 35) prevede anche l’obbligo di presentare un certificato medico legale rilasciato dalla Azienda Sanitaria Locale o da un medico militare, della Polizia di Stato o del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, attestante che il richiedente non è affetto da malattie mentali oppure da vizi che ne diminuiscono, anche temporaneamente, la capacità di intendere e di volere, che non è consumatore anche solo occasionale di sostanze stupefacenti e infine che non è dedito all’abuso di alcolici (l’uso occasionale di alcolici non è ostativo).
La legge prevede anche l’obbligo di comunicare la richiesta al coniuge, al convivente more uxorio e agli altri familiari conviventi (solo se maggiorenni) ma questa disposizione non è ancora operante, non essendo stato ancora emesso il relativo regolamento di attuazione. Per più di una ragione, il ricorso al nulla osta non è affatto comodo per chi intenda acquistare un’arma.
Anzitutto, il nulla osta ha validità limitata nel tempo (un mese), serve per l’acquisto di una o più armi indicate nello stesso atto e non consente l’acquisto di altre munizioni oltre a quelle eventualmente menzionate nello stesso titolo. In pratica, se il questore autorizza per esempio l’acquisto di una pistola Beretta modello 98 calibro 9×21 mm e cinquanta munizioni per la stessa, una volta in possesso dell’arma la persona autorizzata deve richiedere nuovamente il nulla osta per potere acquistare altre munizioni oppure per acquistare una nuova arma.
Inoltre, il nulla osta non permette neppure il trasporto dell’arma se non all’atto dell’acquisto, cioè lungo il percorso dall’armeria al proprio luogo di residenza (come spiegheremo più avanti, il trasporto consiste nel trasferire l’arma scarica e parzialmente smontata, tenendola in apposito contenitore e comunque non pronta all’uso).
Per le ragioni che precedono, la maggior parte delle persone che intendono acquistare e detenere un’arma, anche se non praticano in realtà alcuna attività sportiva, a giusta ragione preferiscono avvalersi di una licenza di porto d’armi, che presenta il vantaggio di consentire una pluralità di acquisti di armi e di munizioni nel periodo di validità della licenza stessa e che, inoltre, ne permette il trasporto da casa al poligono e viceversa, senza bisogno di ulteriori autorizzazioni (in teoria, sarebbe possibile avvalersi del cosiddetto avviso di trasporto, che però deve essere presentato al questore ogni volta che si muove l’arma).
La licenza di porto di fucile per il tiro a volo
Pertanto, la via più percorsa è quella di richiedere la licenza di porto di fucile per l’esercizio del tiro a volo (che alcuni abbreviano con l’acronimo TAV), spesso definita, impropriamente, “licenza sportiva” o “porto d’armi sportivo”. Si tratta di una autorizzazione introdotta dall’articolo unico della legge numero 323 del 1969, che consente il porto di armi lunghe da fuoco dal domicilio al campo di tiro e viceversa. La licenza, rilasciata dal questore, vale cinque anni (a seguito del decreto legislativo numero 104/2018 di recepimento della direttiva europea; in origine erano sei anni) ed è soggetta a una modesta tassa di concessione governativa.
In base alle norme generali in materia di licenze di porto d’armi, anche la TAV richiede la presentazione di una certificazione medica ma la stessa non deve essere ripresentata se non in occasione del rinnovo della licenza stessa alla sua scadenza.
Alcune questure subordinano il rilascio della licenza alla prova che il richiedente sia iscritto a un poligono di tiro a volo o, addirittura, che svolge attività sportiva di tiro: la legge non lo prevede ma, naturalmente, occorre adeguarsi onde evitare un rifiuto, a fronte del quale non c’è di fatto alcuna tutela.
In conclusione, la maggior parte dei titolari di licenza di porto di fucile per l’esercizio del tiro a volo non mette mai piede in un campo di tiro ma si serve della licenza solo per acquistare armi e munizioni e per poter legittimamente trasportare le proprie armi (per esempio, in un poligono di tiro a segno).
Le altre licenze
In questa sede non ci soffermiamo sulle altre licenze – che pure sono valide per l’acquisto – se non per precisare che, in un recente pronunciamento, il Ministero dell’Interno ha affermato che la licenza di porto di fucile per uso di caccia non è valida per l’acquisto di armi se non è stata pagata anche la tassa annuale prevista per l’esercizio venatorio.
Anche se tale parere è giuridicamente errato, sconsigliamo ai titolari di tale licenza di acquistare armi e munizioni se non sono coperti dal pagamento della tassa, anche se la licenza, che oggi dura anch’essa cinque anni per effetto del decreto legislativo numero 104/2018, è in corso di validità.
Osserviamo in proposito che la licenza di porto d’armi viene utilizzata solo per dimostrare l’affidabilità dell’acquirente, sicché non ha rilevanza se le armi acquistate siano o meno utilizzabili per la specifica finalità di porto della licenza posseduta. Per fare un esempio, il titolare di licenza di porto di fucile può acquistare armi corte, mentre il titolare di licenza di porto di pistola o rivoltella può acquistare (e trasportare) anche armi lunghe.
Infine, segnaliamo un caso particolare, previsto dalla legge: le persone che, come i magistrati e i funzionari di polizia, hanno facoltà di andare armate senza licenza, possono utilizzare per l’acquisto di armi il loro tesserino di riconoscimento. Tale facoltà era stata riconosciuta in passato anche ai magistrati onorari ma di recente una discutibile decisione ministeriale ha ritenuto che la facoltà in parola sia riconosciuta solo ai magistrati professionali.
La denuncia
Compiuto l’acquisto dell’arma con una delle modalità sin qui descritte, viene subito il momento di denunciarne la detenzione. La denuncia consiste in una comunicazione all’autorità, con la quale una persona informa l’autorità di Pubblica Sicurezza del fatto che detiene un’arma in un determinato luogo: non si tratta quindi di licenza o di autorizzazione.
L’articolo 38 TULPS fa obbligo di denunciare le armi entro le 72 ore successive alla acquisizione della loro materiale disponibilità presso l’ufficio locale di Pubblica Sicurezza (leggasi: questura o commissariati della Polizia di Stato) oppure, quando questo manchi nel comune in cui si denunciano le armi, presso il Comando Stazione dell’Arma dei Carabinieri del luogo.
La norma, nella sua apparente semplicità, presenta tuttavia alcuni problemi interpretativi e attuativi.
In base al regolamento TULPS la denuncia deve essere presentata in doppio esemplare – uno rimane all’interessato e serve per ricevuta – e deve contenere indicazioni precise circa le caratteristiche delle armi, delle munizioni; inoltre, chi denuncia un’arma deve anche indicare tutte le altre armi di cui è in possesso e il luogo dove si trovano, anche se sono state precedentemente denunciate (articolo 58 Reg. TULPS)
Nella pratica, però, non tutti gli uffici preposti a ricevere le denunce adottano le medesime prassi: molti preferiscono predisporre loro stessi la denuncia sulla base delle indicazioni fornite dal denunciante che, normalmente, è in possesso del documento di cessione dell’armiere contenente tutte le indicazioni identificative relative alle armi acquistate.
Quanto al termine per effettuare la denuncia, bisogna considerare che commissariati di Polizia e stazioni dei Carabinieri non sono aperti di domenica e talvolta osservano giorni e orari di ricevimento ristretti. Pertanto, se l’acquisto dell’arma avviene per esempio di venerdì mattina, l’acquirente potrebbe non riuscire a denunciare l’arma nelle settantadue ore (tre giorni), nel caso in cui il commissariato non aprisse al pubblico il sabato e il lunedì mattina: andando a denunciare l’arma lunedì pomeriggio, infatti, si supererebbe sia pure di poco il limite di legge.
Inoltre, non bisogna trascurare il fatto che, se l’acquisto viene fatto lontano dal luogo di abituale dimora, o peggio durante le vacanze, ben difficilmente – se non programmando anticipatamente i propri spostamenti – si riuscirebbe a presentare la denuncia nel termine stabilito.
Che cosa fare se ci si reca in commissariato e, sfortunatamente, l’ufficio è chiuso? Esiste l’alternativa di trasmettere la denuncia per fax, per posta certificata o per raccomandata. Molto spesso gli uffici preposti vedono però con sfavore queste modalità di trasmissione della denuncia, perché pretendono di svolgere una sorta di ‘accettazione’ della stessa, anche se non prevista dalla normativa.
Onde evitare contrasti e spiacevoli incomprensioni, trovandosi nell’assoluta impossibilità di rispettare il termine di legge mediante consegna manuale della denuncia, si potrà ricorrere alla seguente formula: Il sottoscritto… avendo acquistato in data… la seguente arma da sparo…, trovandosi nell’impossibilità di depositare presso codesti uffici la prescritta denuncia a causa…, anticipa con il presente mezzo la denuncia medesima, riservandosi di comparire al più presto presso l’ufficio per gli ulteriori adempimenti ritenuti necessari da codesta autorità. Bisogna tenere presente, in proposito, che in caso di ritardo della denuncia, dato che tanto l’omissione quanto il ritardo costituiscono reato, ben difficilmente il giudice sarà disposto ad accettare la giustificazione, per esempio, che il commissariato non era aperto al pubblico ma potrà, invece, ritenere equivalente alla presentazione diretta la spedizione a mezzo posta certificata o fax, se opportunamente documentata.
Lo scopo della denuncia è quello di consentire all’autorità di pubblica sicurezza di conoscere, con tempestività e in ogni momento, il luogo in cui le armi si trovano: come detto non si tratta di una autorizzazione, come invece spesso i vari funzionari preposti sono orientati a credere, sicché essi devono semplicemente prenderne atto e, se vogliono, fare i controlli del caso (come previsto dall’articolo 38 TULPS). Pertanto, non c’è ragione al mondo per escludere che la denuncia possa pervenire all’autorità di Pubblica Sicurezza o ai Carabinieri tramite un mezzo diverso dalla presentazione manuale, quanto meno per ovviare a un (altrimenti inevitabile) ritardo.
Che cosa fare, invece, nel caso in cui l’acquisto avvenga in un luogo lontano da quello di abituale residenza, dove l’acquirente si trovi in vacanza o presso amici? Fermo restando che la legge fa riferimento alla ‘materiale disponibilità’, sicché si può benissimo acquistare e pagare l’arma ma passare a ritirarla poco prima del rientro, esiste la possibilità di denunciare la detenzione presso il comando Carabinieri o presso il commissariato di Polizia del comune in cui ci si trova, indicando come luogo di detenzione la residenza temporanea (per esempio, appartamento o alloggio da un parente). Tale modalità sarebbe tuttavia probabilmente da evitare in caso di soggiorno presso alberghi o pensioni, non perché sia vietato ma perché l’autorità potrebbe trovare da ridire sulle modalità di custodia delle armi.
Al rientro presso il luogo abituale di dimora, bisogna “ripetere la denuncia”, come comunemente si dice. Tale obbligo è espressamente previsto dall’articolo 58 del Reg. TULPS e il suo inadempimento è sanzionato come contravvenzione.
La ripetizione è prevista sia per il cambio definitivo di luogo di custodia sia nel caso di trasferimento temporaneo. Nel silenzio della legge, si deve ritenere che l’obbligo di ripetizione della denuncia scatti se il trasferimento abbia durata superiore a settantadue ore (termine previsto dalla legge per la prima denuncia ed estensibile per analogia alla sua ripetizione). Se infatti si rimane al di sotto di tale limite temporale e le armi, nello stesso termine, rientrano presso il luogo abituale di custodia, non c’è ragione di comunicarlo all’autorità: una situazione del genere può verificarsi, per esempio, se si va fuori per un giorno o due per esigenze di caccia o di gare di tiro. A tale proposito, è però da segnalare una recente pronuncia giurisprudenziale di segno contrario alla tesi qui sostenuta.
Occorre tenere presente che l’obbligo di ripetizione della denuncia è conseguenza del trasferimento delle armi, non invece del luogo di residenza o di dimora del detentore. Talvolta i Carabinieri o la Polizia si accorgono che una persona ha cambiato indirizzo e, sul presupposto che abbia trasferito anche le armi, lo denunciano per violazione del citato articolo 58 Reg. TULPS (anche l’omessa ripetizione della denuncia – come accennato sopra – costituisce illecito penale). L’errore è più frequente di quanto si pensi. In realtà, le armi possono anche restare nel luogo di precedente dimora, purché siano correttamente conservate e custodite (si veda più avanti, a proposito della custodia).
Così pure, nulla vieta di tenere una o più armi in un luogo diverso da quello di dimora – per esempio, presso la sede di lavoro – sempre che ne sia assicurata la relativa custodia: la legge non obbliga infatti a tenere tutte le armi possedute nello stesso luogo. È lo stesso articolo 58 Reg. TULPS a permetterlo, indirettamente, perché, nel fare obbligo di comunicare, in occasione della denuncia, l’elenco di tutte le altre armi precedentemente denunciate, precisa che occorre indicare anche il luogo in cui si trovano.
Potrà succedere, perciò, che la denuncia debba essere presentata presso due diversi organi di Pubblica Sicurezza, uno competente per il luogo di residenza, dove alcune armi vengono tenute, l’altro per il luogo di detenzione di altre armi. Chi vive in una grande città, si troverà facilmente a fare i conti con la competenza territoriale di diversi commissariati di Polizia; nei piccoli centri, ove le armi siano detenute in comuni diversi, si tratterà probabilmente di diverse stazioni dei Carabinieri.
Ogni volta si dovrà rendere edotto l’organo che riceve la denuncia dell’esistenza di armi detenute in luogo diverso, già denunciate o che – essendo state acquistate tutte insieme – verranno suddivise in più luoghi di detenzione e custodia.
Diverse tipologie di armi e limiti di detenzione
Se non ci fossero precisi limiti numerici di armi, di cui è consentita la detenzione, non avrebbe tanta importanza identificare la categoria di ogni arma che si acquista e detiene.
L’articolo 10 della legge numero 110/1975, dopo le modifiche introdotte dal decreto legislativo numero 104/2018, stabilisce che possono essere detenute, senza licenza di collezione, tre armi comuni da sparo, dodici armi sportive e un numero illimitato di armi da caccia. In base all’articolo 7 del decreto ministeriale 14 aprile 1982 possono essere detenute anche otto armi antiche, artistiche o rare d’importanza storica (per comodità, d’ora in avanti le chiameremo semplicemente armi antiche).
Occorre avere ben chiaro che l’errore circa l’identificazione della tipologia di arma ricade sul detentore, che rischia di essere sottoposto a procedimento penale per il reato di raccolta abusiva di armi anche se tutte le armi sono state regolarmente denunciate.
Pertanto, bisogna essere molto prudenti, evitando di prestare fede agli “esperti” che rischiamo di incontrare nei poligoni o nelle armerie, che spesso fanno affermazioni errate con la tipica sicurezza dell’ignorante: per esempio, ci capiterà di sentirci dire che, poiché l’arma possiede le mire regolabili, è sicuramente sportiva!
Le cose stanno così: tutte le armi che possono essere portate a caccia sono considerate ‘da caccia’ e possono essere detenute in numero illimitato; si possono detenere dodici armi ‘sportive’, che siano state classificate come tali dall’autorità preposta (vedremo meglio i dettagli in proposito); si possono detenere tre armi “comuni da sparo”, che non facciano parte di nessuna delle due precedenti categorie. Vedremo infine come identificare le armi ‘antiche’, che si può tranquillamente detenere in numero di otto senza incorrere in complicazioni legali o di pubblica sicurezza.
Le armi da caccia sono quelle lunghe che rientrano nei parametri di calibro indicati nell’articolo 13 della legge numero 157/1992, la legge quadro sulla caccia. In base a tale disposizione, l’attività venatoria è consentita con l’uso del fucile con canna ad anima liscia fino a due colpi, a ripetizione e semiautomatico, con caricatore contenente non più di due cartucce, di calibro non superiore al 12, nonché con fucile con canna ad anima rigata a caricamento singolo manuale o a ripetizione semiautomatica di calibro non inferiore a millimetri 5,6 con bossolo a vuoto di altezza non inferiore a millimetri 40.
La norma, tutt’altro che di semplice lettura, vuole dire, in pratica, che si può andare a caccia con qualsiasi fucile comunemente detto a canna liscia di calibro 12 o inferiore e con i fucili con canna rigata di calibro superiore a 5,6 millimetri o, se di calibro uguale a 5,6 millimetri, le cui munizioni siano allestite con un bossolo di altezza superiore a 40 millimetri.
L’identificazione dei calibri consentiti è resa più difficile anche dal fatto che molti di essi sono conosciuti nella loro denominazione inglese o americana, indicata in pollici. Per esempio, il calibro .308 corrisponde nel sistema metrico decimale a 7,62 millimetri (è una corrispondenza convenzionale, perché in realtà convertendo i pollici in millimetri si ottiene 7,82 mm).
Non è possibile utilizzare per caccia le armi corte (cioè pistole e rivoltelle), per cui queste possono essere denunciate solo come armi comuni o come armi sportive.
Il decreto-legge numero 7/2015, convertito con modificazioni nella legge 43/2015, ha vietato per uso di caccia le armi di categoria B7 (armi somiglianti ad armi automatiche), tale divieto è stato confermato ed esteso dal decreto legislativo numero 104/2018 e riguarda ora non solo le armi già categoria B7, ora denominata B9, ma anche quelle di categoria A6, A7 e A8. A nostro parere tale divieto è efficace solo per le armi che il Banco Nazionale di Prova di Gardone Val Trompia ha espressamente classificato B7 o B9 e non per quelle che potrebbero in teoria rientrare in siffatta categoria ma a cui la stessa non sia mai stata formalmente attribuita. Su tale punto, però, non c’è ancora alcuna presa di posizione ministeriale.
La stessa normativa consente di tenere in soprannumero (cioè in numero superiore, rispettivamente, alle tre armi comuni e alle sei armi sportive) le armi categoria B7 (ora B9), eventualmente detenute alla data di entrata in vigore delle nuove disposizioni. Si tratta di una disposizione transitoria non trasferibile agli acquirenti successivi. Analoga estensione è stata prevista, sempre dal decreto legislativo numero 104/2018, per le armi comuni da sparo passate in categoria A.
Per le armi antiche, occorre rifarsi al già citato decreto ministeriale 14 aprile 1982, che individua come antiche le armi di progetto anteriore al 1890. L’identificazione delle armi artistiche e rare d’importanza storica richiederebbe una esposizione troppo lunga, da rinviare ad altra occasione.
Sono invece armi comuni da sparo tutte quelle che non rientrano tra le armi da caccia, sportive o antiche; se ne possono detenere solamente tre, fatta salva la possibilità di richiedere la licenza di collezione di armi comuni da sparo.
Sono armi comuni non solamente quelle corte da difesa ma anche quelle lunghe, che non rientrano tra le armi da caccia o sportive. Pertanto, devono essere denunciate come comuni le carabine in calibro .22 Long Rifle (non utilizzabili per caccia) e le carabine della categoria B7 (ora B9) non classificate sportive.
La custodia delle armi
Non è sufficiente acquistare legalmente un’arma mediante nulla osta o licenza di porto d’armi. Non basta neppure la denuncia all’autorità di Pubblica Sicurezza, che deve avvenire entro settantadue ore: una volta a casa, ai sensi dell’articolo 20 della legge numero 110/1975 bisogna assicurare la custodia, anche di una singola arma e di una singola scatola di munizioni, con ogni diligenza nell’interesse della sicurezza pubblica.
Contrariamente all’opinione diffusa, la principale ragione per cui è necessario custodire con la massima cura le armi non è tanto quella di evitarne la sottrazione ma è quella di evitare rischi per la sicurezza pubblica, vale a dire incidenti (o delitti), che potrebbero verificarsi con l’uso indebito dell’arma.
L’articolo 20 bis della citata legge numero 110/1975 vieta, inoltre, di consegnare armi a minori, a persone incapaci o imperite nel maneggio di un’arma. Punisce anche la trascuratezza nella custodia, al fine di impedire che alcuna delle persone … [minori, incapaci etc.] giunga ad impossessarsene agevolmente.
Pertanto, in linea di massima, è importantissimo fare in modo che le armi vengano tenute in modo tale da non essere alla portata di chiunque, tanto più se nel luogo in cui vengono custodite ci sono minori o persone incapaci. Escluso il caso della licenza di collezione (in tal caso la legge prescrive l’adozione di difese antifurto), non è affatto obbligatorio munirsi di cassaforte o di allarme elettronico. L’autorità non può obbligare una persona che detiene anche una sola arma a munire il luogo in cui abita con costosi sistemi di difesa attivi o passivi.
Quello che conta è che vengano adottate le cautele suggerite dall’esperienza e dal buon senso, come per esempio tenere le armi in un cassetto chiuso a chiave e chiudere sempre a doppia mandata il portone di casa quando si esce.
Non è neppure vero – come sembrano pensare alcuni tutori della legge – che ogni volta che avviene un furto di un’arma, ne consegue automaticamente la responsabilità penale per omessa custodia da parte del derubato.
Il problema è molto più complesso: la legge deve sempre contemperare gli interessi in gioco! Perciò, giustamente, si è stabilito un generico obbligo di diligenza per i detentori di armi non collezionisti e un obbligo maggiormente accentuato per i collezionisti.
Diverso è il discorso se in casa vi sono minori o persone incapaci: per esempio, un figlio maggiorenne con problemi psichiatrici. In questo caso, come abbiamo accennato, non basta la normale diligenza ma occorre adoperarsi per evitare che le persone facenti parte delle citate categorie possano agevolmente entrare in possesso delle armi.
“Agevolmente” vuol dire che non risponderà di omessa custodia il padre che si vede sottrarre le armi dal figlio diciassettenne, il quale ha forzato la cassaforte in cui le armi erano custodite. Ci sarà omessa custodia, invece, se le chiavi della cassaforte erano in un luogo di facile accesso da parte del figlio, che ne ha perciò agevolmente approfittato.
L’autorità di Pubblica Sicurezza può imporre l’adozione di particolari difese antifurto nel caso in cui ciò sia reso necessario dal numero e dalla pericolosità delle armi detenute. Tale potere non può essere esercitato se la persona detiene numerose armi da caccia ma non armi per cui è prescritta la licenza di collezione. Tuttavia, onde evitare il rischio di denuncia per omessa custodia, sarà opportuno dotarsi di sistemi di protezione adeguati alla particolare situazione di ogni detentore.
Porto e trasporto delle armi
Non tutti detengono armi per il solo piacere di possederle: molti pensano di usarle per il tiro o per la caccia.
Per introdurre l’argomento, che con questo articolo ci limitiamo ad accennare, è necessario distinguere tra ‘porto’ e ‘trasporto’ delle armi.
Il porto consiste nell’avere con sé l’arma carica e pronta all’uso, in condizione tale da poterne fare uso immediato. Tipica ipotesi di porto si verifica quando l’arma è portata carica sulla propria persona, ma si ha porto anche nel caso in cui venga tenuta, in analoghe condizioni di pronto impiego, nel cassetto del cruscotto dell’autovettura o anche in una borsa, ma sempre in modo tale da poter farne pronto uso.
Il trasporto consiste nel trasferire da un luogo a un altro l’arma scarica, in custodia, eventualmente smontata o, comunque, privata del serbatoio caricatore (se ne è munita) e, in ogni caso, in una situazione tale da non consentirne l’uso immediato. Tipicamente, avremo situazione di trasporto quando viene tenuta smontata e scarica in una valigia posizionata nel bagagliaio dell’autovettura.
Per praticare il tiro a segno non è normalmente richiesto il porto ma il solo trasporto da casa al poligono di tiro.
Il porto si verifica, invece, quando si vuole praticare l’attività venatoria o quella del tiro a volo. Il motivo è che i poligoni per il tiro a segno sono ambienti recintati, in cui l’attività di tiro si svolge in posizioni stabilite, sotto il controllo degli istruttori di tiro. Al contrario il tiro a volo e, ancor più, la caccia, presuppongono la possibilità di muoversi con una certa libertà, con l’arma carica e pronta all’uso. Per tale ragione, cacciatori e tiratori di piattello, per esercitare il loro sport, devono munirsi di una specifica licenza di porto.
Chi è titolare di una licenza di porto di fucile o di pistola può anche trasportare (attenzione: solo trasportare) un’arma di tipo diverso da quella che è autorizzato a portare. Per esempio, il titolare di licenza di porto di fucile per il tiro a volo, può trasportare una pistola da casa al poligono, rispettando le restrizioni sopra indicate: arma scarica, possibilmente smontata, in valigia chiusa.
Chi non è titolare di licenza di porto d’armi può munirsi di titoli amministrativi che consentono il solo trasporto, peraltro scarsamente utilizzati, dato che è molto più semplice richiedere la licenza di porto di fucile per il tiro a volo, evitando così ogni problema.
I frequentatori di poligoni del Tiro a Segno Nazionale possono richiedere la cosiddetta carta verde, che deve essere vidimata in questura e che consente il trasporto da casa allo specifico poligono che l’ha rilasciata.
Esiste poi la licenza di trasporto di armi sportive, disciplinata dalla legge numero 85/1986, che però presuppone che il titolare svolga attività agonistica, presentando tuttavia il vantaggio di autorizzare il trasporto verso qualsiasi poligono del Tiro a Segno Nazionale.
Appare dubbia – e probabilmente da escludersi – la possibilità di ricorrere ai titoli di solo trasporto verso poligoni non gestiti dal Tiro a Segno Nazionale.
Il titolare di licenza di porto di fucile o di porto di pistola può anche acquistare e trasportare fino a duecento cartucce per pistola o rivoltella e fino a millecinquecento cartucce per fucile da caccia, da utilizzare per il tiro o per la caccia.
In mancanza di tale titolo, non è possibile né l’acquisto né il trasporto delle munizioni; pertanto, i titolari di solo titolo di trasporto possono solamente acquistare le munizioni presso i poligoni del Tiro a Segno Nazionale, prestando attenzione a consumarle tutte sul posto.
Le leggi da conoscere
• Regio decreto 18 giugno 1931 numero 773, “Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza”, in: Supplemento Ordinario alla Gazzetta Ufficiale numero 146 del 26 giugno 1931
• Regio decreto 6 maggio 1940 numero 635, “Regolamento per l’esecuzione del T.U. 18 giugno 1931, numero 773, delle Leggi di Pubblica Sicurezza”, in: Gazzetta Ufficiale numero 149 del 26 giugno 1940
• Legge 18 giugno 1969 numero 323, “Rilascio del porto d’armi per l’esercizio dello sport del tiro a volo”, in: Gazzetta Ufficiale numero 170 dell’8 luglio 1969
• Legge 18 aprile 1975 numero 110, “Norme integrative della disciplina vigente
per il controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi”, in: Gazzetta Ufficiale numero 105 del 21 aprile 1975
• Decreto ministeriale 14 aprile 1982, “Regolamento per la disciplina delle armi antiche, artistiche o rare di importanza storica”, in: Gazzetta Ufficiale numero 153 del 5 giugno 1982
• Legge 25 marzo 1986 numero 85 (‘Legge Lo Bello’), “Norme in materia di armi per uso sportivo”, in: Gazzetta Ufficiale numero 77 del 3 aprile 1986
• Legge 11 febbraio 1992 numero 157, “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio”, in: Supplemento Ordinario alla Gazzetta Ufficiale numero 46 del 25 febbraio 1992
• Legge 17 aprile 2015 numero 43, “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 18 febbraio 2015, n. 7, recante misure urgenti per il contrasto del terrorismo, anche di matrice internazionale (…)”, in: Gazzetta Ufficiale numero 91 del 20 aprile 2015
• Decreto legislativo 10 agosto 2018, numero 104, “Attuazione della direttiva (UE) 2017/853 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 maggio 2017, che modifica la direttiva 91/477/CEE del Consiglio, relativa al controllo dell’acquisizione e della detenzione di armi”, in: Gazzetta Ufficiale numero 209 dell’8 settembre 2018
Salve,
per prima cosa vi voglio ringraziare per il dettagliato riassunto delle complesse norme che regolano la detenzione delle armi da fuoco in Italia.
Secondariamente, scrivo questo commento (non avendo trovato un contatto alternativo) per avare conferma se quanto riportato nel sopra citato post (http://www.gazzettadellearmi.it/2019/02/27/possedere-unarma-tutto-quello-che-occorre-sapere/) sia ad oggi ancora valido e corrispondente alla normativa attuale inclusa ogni recente norma o reinterpretazione.
Ringraziandovi anticipatamente, porgo
Cordiali Saluti.
Caro lettore, sebbene sia difficile garantire la validità nel tempo di quanto si scrive in materia legale, visto che le leggi cambiano spesso, nel caso dell’articolo in questione tutte le indicazioni sono ancora valide, dato che si è tenuto conto del decreto legislativo n. 104 del 2018, che è l’ultimo intervento legislativo in materia.
Ovviamente, se ha specifiche perplessità su singoli temi trattati nell’articolo, sarò felice di risponderle.
Biagio Mazzeo