Il decreto legislativo numero 104 del 10 agosto 2018, in vigore dal 14 settembre 2018, ha dato attuazione all’ultima direttiva europea sulle armi da fuoco, anzi, per essere precisi, ha attuato la modifica 2017/853 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 17 maggio 2017 alla direttiva 91/477/CEE del 1991 relativa al controllo dell’acquisizione e della detenzione di armi. Una circolare del 12 settembre avrebbe dovuto fornire indicazioni utili alla sua interpretazione
di Biagio Mazzeo – magistrato
Il legislatore italiano è stato sinora poco preciso nel dare attuazione alle direttive europee, senza fare eccezione nell’ultimo provvedimento legislativo che ci accingiamo a commentare.
Le critiche che si possono fare sono di due ordini diversi: la prima, è che l’attuazione della direttiva è stata parziale, incompleta e che, in parte, ha anche disatteso alcune norme cogenti, a cui si sarebbe dovuto dare attuazione; la seconda è che si è colta l’occasione – eccedendo platealmente la delega legislativa – per inserire norme che nulla avevano a che vedere con l’attuazione della direttiva.
Nonostante l’apparente brevità del testo legislativo (così come della successiva circolare interpretativa) quest’ultimo ha introdotto una pluralità di disposizioni nuove, con ricadute di tale importanza che ciascuna di esse meriterebbe una trattazione a sé. Per tale ragione, saranno qui tratteggiate solamente alcune delle tematiche più rilevanti, tenendo conto sia del testo del provvedimento legislativo sia della relativa circolare ministeriale numero 557/PA5/U/012670/10900(27)9 del 12 settembre 2018, rinviando ad altro momento il completo e arduo approfondimento della materia.
Prima di procedere, bisogna evidenziare per l’ennesima volta che la legge italiana non ha affatto recepito in toto lo schema tratteggiato dalla direttiva europea sin dalla sua prima apparizione nel 1991. In particolare, manca nella nostra legislazione la netta distinzione tra ‘armi da fuoco’, oggetto della direttiva, e altre ‘armi da sparo’, di cui la direttiva non si occupa (per esempio, le armi e gli strumenti ad aria compressa), con l’assurda conseguenza che alcune rigorose disposizioni comunitarie sono state estese anche alle armi ad aria compressa, che la direttiva non aveva alcuna intenzione di disciplinare.
Inoltre, la direttiva non prevede alcuna disposizione in tema di armi per uso sportivo, che sono una creazione italiana non contemplata da altri ordinamenti continentali, né tanto meno si è preoccupata di regolamentare la prova in poligono delle armi inserite nella collezione di armi comuni da sparo (anche questo è un istituto tutto italiano).
Quanto precede solo per sottolineare con quanta approssimazione sia stato affrontato sinora il problema di adeguare a quelle europee le leggi interne sulle armi.
La creazione delle nuove sottocategorie di armi ‘semivietate’
Abbiamo inventato questa definizione per raggruppare tutte e tre le categorie di armi passate dalla categoria B (armi soggette ad autorizzazione) alla categoria A (armi vietate). In realtà, la direttiva da ultimo entrata in vigore ha in parte stravolto quest’ultima categoria, poiché vi ha inserito tipologie di armi che sono sì vietate, ma con la previsione di alcune deroghe per i tiratori sportivi. Da qui l’idea di definirle, con un pizzico di ironia, ‘semivietate’.
Va anche detto che la direttiva prevede (e prevedeva anche prima) la possibilità per gli Stati membri di autorizzare singoli privati collezionisti a detenere armi di tipo vietato, senza specificare altro. Come vedremo, lo Stato italiano se ne è servito per consentire la deroga esclusivamente in relazione alle armi già in categoria B e oggi in categoria A.
1. Categoria A-6: armi da fuoco automatiche trasformate in armi semiautomatiche
Come è noto, le armi da fuoco automatiche potevano essere immesse nel circuito civile da parte di operatori autorizzati che effettuavano le opportune modifiche tecniche finalizzate a consentire il solo funzionamento semiautomatico. Tale elaborazione, comunemente conosciuta come ‘demilitarizzazione’, trasformava l’arma da guerra, secondo la definizione del nostro ordinamento, in arma comune da sparo.
L’Unione Europea vede oggi con sfavore questa tipologia di armi, in quanto ritiene – a torto o a ragione – che non vi siano garanzie sufficienti che tali armi non siano suscettibili di essere riportate allo stato precedente e, quindi, non possano di nuovo sparare a raffica. Considerato che però alcune di queste armi potrebbero avere un impiego in ambito sportivo, per questa specifica sottocategoria e, come vedremo, per la A-7, è stata prevista la possibilità di acquisto e detenzione a favore di tiratori sportivi.
2. Categoria A-7: armi da fuoco corte che consentono di sparare più di 21 colpi senza ricaricare o armi da fuoco lunghe che consentono di sparare più di 11 colpi senza ricaricare
La definizione della direttiva non è di immediata comprensione. In effetti, si vogliono vietare i caricatori amovibili di capacità superiore a 20 colpi (per le armi corte) e a 10 colpi (per le armi lunghe). Siccome, però, potrebbero esistere armi con serbatoio interno di pari capacità, si è voluto dire che è vietata qualsiasi arma che possa sparare, rispettivamente, più di 20 o più di 10 colpi in successione, oltre quello in camera di cartuccia, per un totale di 21 o 11 colpi.
Di fatto, poiché per quanto consta sono rare o inesistenti le armi fornite di un serbatoio interno così capiente, la disposizione riguarda essenzialmente, se non esclusivamente, le armi con serbatoio staccabile.
Le norme europee, come si vede, non hanno vietato direttamente i serbatoi maggiorati ma le armi che li montano, se e quando li montano. Nel decreto legislativo di attuazione, invece, è stato previsto il divieto di acquisto e di detenzione anche dei soli caricatori, indipendentemente dalla detenzione delle relative armi.
Questa sottocategoria, più di quella A-6, pone delicati problemi di diritto transitorio, in quanto sono numerosi i detentori di armi acquistate e denunciate regolarmente che prevedono l’utilizzo di serbatoi di capienza maggiore rispetto ai limiti oggi vigenti. Questo è avvenuto soprattutto a seguito del decreto legislativo numero 2004/2010, che aveva liberalizzato i caricatori e a seguito del passaggio al Banco di Prova della procedura di classificazione delle armi da sparo. Basta dare uno sguardo al sito del Banco, per constatare che numerose armi lunghe sono state classificate con serbatoi di capienza di 20, 25 o 29 colpi, quindi di gran lunga oltre il limite attuale.
Poiché non sempre dalla denuncia presentata dal detentore all’autorità di Pubblica Sicurezza risulta che l’arma è dotata di uno o più caricatori di tale capienza – nonostante la deroga prevista per le armi acquistate prima del 13 giugno 2017 – si pone in molti casi il problema di dimostrare che il caricatore maggiorato era già nella disponibilità del detentore prima di quella data.
3. Categoria A-8: armi da fuoco semiautomatiche, originariamente destinate a essere imbracciate, che possono essere ridotte a una lunghezza inferiore a 60 cm, senza perdere funzionalità, tramite un calcio pieghevole o telescopico ovvero un calcio che può essere rimosso senza l’ausilio di attrezzi
Questa sottocategoria riguarda i fucili o le carabine dotati di calciolo ribaltabile o, comunque, eliminabile o accorciabile senza necessità di ricorrere al cacciavite o ad altri strumenti. Non rientrano in questa tipologia tutte le armi con calciolo accorciabile ma solo quelle che, senza il calciolo, diventano più corte di 60 centimetri.
Molte di queste armi, in Italia, sono catalogate o classificate come armi corte (pistole semiautomatiche) e sono state private dei sistemi di ritenzione del calciolo. In pratica, dunque, si tratta di una categoria di modesto se non quasi inesistente impatto sui detentori italiani.
Regime transitorio e deroghe
Per espressa previsione del decreto legislativo numero 104/2018, nulla cambia per i detentori di armi delle tre sottocategorie sopra indicate, purché il relativo acquisto sia anteriore al 13 giugno 2017, data di entrata in vigore della direttiva europea.
In realtà, qualche cosa cambia anche per loro, in quanto tali armi non possono più essere cedute se non ad armieri o a persone autorizzate, dato che la deroga vale solo per gli attuali detentori ma non per i successivi acquirenti. Inoltre, il nuovo provvedimento legislativo estende alle armi semivietate il regime già previsto per le armi categoria B-7 (ora B-9), per ciò che riguarda l’impiego venatorio.
Quanto alle deroghe, esse sono di due tipi: deroga a favore dei tiratori sportivi iscritti a specifiche organizzazioni riconosciute; deroga a seguito di rilascio di speciale licenza di collezione.
In base all’articolo 12, comma 4, del decreto legislativo numero 104/2017, l’acquisizione e la detenzione di armi di cui alla categoria A, punti 6 e 7, nonché di caricatori per armi da fuoco in grado di contenere un numero di colpi eccedente i limiti consentiti all’articolo 2, secondo comma, della legge 18 aprile 1975, numero 110, è consentita ai soli tiratori sportivi iscritti a federazioni sportive di tiro riconosciute dal CONI, nonché gli iscritti alle Federazioni di altri Paesi UE, agli iscritti alle Sezioni del Tiro a Segno nazionale, agli appartenenti alle associazioni dilettantistiche di tiro a segno affiliate al CONI.
La disposizione citata non riproduce esattamente la previsione della direttiva, che esigeva invece l’effettiva partecipazione del tiratore ad allenamenti e gare. Di questa incongruenza sembra essersi reso conto il Ministero dell’Interno, che nella circolare esplicativa così si esprime: Resta ferma, per le tipologie di armi in parola, la competenza del CONI ad individuare, in coerenza con i parametri indicati dalla Direttiva 853, i requisiti e le modalità che consentono di attestare la qualità di ‘tiratore sportivo’. Attraverso questa frase sibillina si è voluto forse invitare il CONI a dare precise direttive affinché vengano identificati i tiratori realmente impegnati in ambito sportivo-agonistico, come tali autorizzati a detenere armi categoria A-6 e A-7. Tuttavia, la legge non prevede un simile potere da parte del CONI, in quanto le norme introdotte richiedono solamente l’iscrizione a una federazione sportiva, a una sezione del Tiro a Segno Nazionale o ad altre associazioni.
La seconda possibilità di deroga (che si applica a tutte e tre le sottocategorie di nuova introduzione) è collegata alla facoltà del cittadino di richiedere apposita licenza di collezione in singoli casi eccezionali e debitamente motivati. Se la disposizione di legge è sintetica, non molto più chiara ed esplicita è la circolare esplicativa ministeriale, che sul punto si limita a parafrasare la legge, senza indicare a quali condizioni la licenza in questione possa essere rilasciata e senza impartire disposizioni in proposito alle questure, che in concreto dovrebbero rilasciarla.
L’uso delle armi categoria A-6 e A-7
Premettiamo che quanto andiamo ora a esporre non si applica alle armi della categoria A-8, perché per queste ultime non si applica la deroga a favore dei tiratori sportivi.
La soluzione adottata dal legislatore europeo, quella di consentire l’acquisto e la detenzione di armi categoria A (solo 6 e 7) a persone iscritte a organizzazioni sportive di tiro a segno, ha una ragione evidente: allo sportivo che pratica il tiro a segno proprio con un certo tipo di arma, la legge consente di possederlo e di usarlo.
Il recepimento nel diritto italiano, invece, appare illogico e contrastante con la ratio indicata. Infatti, sebbene la deroga operi a favore dei tiratori sportivi, le armi in questione – fatte salve possibili ma improbabili eccezioni – non sono affatto ‘per uso sportivo’. In altre parole, le leggi che si sono succedute negli ultimi tempi prima hanno escluso l’uso venatorio delle armi simili ad armi automatiche (B7 ora B9), poi, con il decreto legislativo in commento, hanno vietato per caccia anche tutte le armi passate in categoria A.
Ne consegue che il detentore non può denunciarle né come armi da caccia né come armi sportive (se non classificate come tali). Pertanto, in base all’articolo 10 della legge numero 110/1975 ne può detenere solamente tre (l’originario limite di due è passato a tre), ma – si badi – solo se lo ‘spazio’ in questione non è già occupato da altre armi comuni da sparo, per esempio pistole o rivoltelle non sportive.
Abbiamo perciò l’assurda conseguenza che bisogna essere sportivi per detenere le armi di categoria A-6 e A-7 ma che, non essendo tali armi per uso sportivo, nella maggior parte dei casi non possono essere usate per il tiro o lo potranno solamente se il detentore le denuncia tra le tre armi comuni da sparo.
La prova delle armi in collezione
Il decreto legislativo ha introdotto modifiche in tema di uso delle armi in collezione.
Come è noto, fino alla modifica in esame l’articolo 10 della legge 110/1975 prevedeva unicamente il divieto di detenzione del munizionamento per le armi in collezione. La legge, peraltro, non aveva previsto alcuna restrizione sulle armi in parola, né sotto il profilo del porto e trasporto né sotto quello dell’utilizzo, per esempio, in poligono. Tuttavia, se pure mancante nella legge, nella prassi era stato imposto il divieto di uso delle armi in collezione e, addirittura, anche il divieto di spostarle dal luogo in cui esse sono custodite abitualmente.
Occorre precisare che la detenzione del munizionamento (vietata) consiste nel tenere presso il luogo di dimora o in altro luogo le cartucce per un tempo apprezzabile. Non si configura detenzione quando le cartucce vengono utilizzate immediatamente o quasi immediatamente dopo l’acquisto per il tiro a segno o per la caccia. Ne consegue che la legge non vietava al collezionista di acquistare cartucce per le armi in collezione ma solo di detenerle: in teoria, dunque, era possibile andare in armeria, comprare le cartucce e subito dopo recarsi in poligono per esercitarsi con l’arma in collezione.
Con il decreto legislativo numero 104/2018 le cose sono sensibilmente cambiate. La nuova disposizione, infatti, prevede espressamente la possibilità di acquistare fino a un massimo di 62 cartucce da utilizzare entro le 24 ore per la prova di tiro con l’arma in collezione.
La circolare ministeriale esplicativa ha posto un ulteriore limite, affermando che per detta ‘prova’ occorra comunque la preventiva comunicazione alla questura, anche se il collezionista sia titolare di licenza di porto d’armi. La circolare afferma, infatti, che in relazione alle armi detenute in collezione l’obbligo di avviso di trasporto graverà anche sul soggetto titolare di licenza di porto di armi. Tale affermazione ministeriale è motivata con l’argomento che l’avviso di trasporto con specifico riferimento alle armi detenute in collezione assolve ad una duplice funzione. Da un lato, infatti, esso consente il consueto controllo sulla movimentazione delle armi sul territorio nazionale e dall’altro permette all’autorità di Pubblica Sicurezza di vigilare sul rispetto delle prescrizioni relative alla prova di funzionamento e all’intervallo tra un ‘test’ e l’altro delle armi detenute in collezione. In sostanza, il Ministero vuole vigilare affinché i collezionisti non si facciano… prendere la mano, effettuando prove con le armi in collezione a intervalli più brevi di quello prescritto dalla legge.
Osserviamo preliminarmente che questa, così come alcune altre disposizioni contenute nel decreto legislativo in esame, sono costituzionalmente illegittime per il cosiddetto ‘eccesso di delega’, in quanto il governo non aveva il potere di inserire nel provvedimento norme diverse da quelle di mero recepimento della direttiva europea. Purtroppo, invece, in questa materia non è la prima volta che il potere esecutivo usurpa il potere legislativo per introdurre restrizioni e limitazioni del tutto estranee alla volontà del legislatore europeo.
Ma anche a prescindere da questa considerazione, appare difficile comprendere come un collezionista, in possesso di un regolare titolo di porto d’armi, possa mettere in pericolo la sicurezza pubblica trasportando e usando in poligono un’arma in collezione, considerato che il medesimo potrebbe benissimo fare lo stesso con armi comuni o sportive, in ipotesi anche più potenti, in relazione alle quali nessun avviso di trasporto è prescritto.
In sostanza, sembra di capire che, secondo l’opinione ministeriale, le armi in collezione posseggano una loro intrinseca pericolosità, che prescinde dalle loro caratteristiche tecniche, per cui occorra una vigilanza speciale tanto che, addirittura, le questure debbano tenere una sorta di scadenziario per essere certe che il collezionista non ritorni in poligono con la stessa arma, per esempio, dopo solo cinque mesi dalla volta precedente.
Aumento del numero di armi sportive detenibili
Anche in questo caso vale quanto detto sopra, circa il fatto che la disposizione eccede la delega legislativa. Ovviamente, si tratta di un fatto positivo, che in qualche modo compensa il fatto che le armi somiglianti ad armi automatiche (ex B7, ora B9) non possono più essere conteggiate tra quelle da caccia e quindi detenute in numero illimitato.
Le armi sportive sono state previste con la legge numero 85 del 25 marzo 1986 (la cosiddetta legge Lo Bello), per agevolare la pratica sportiva, estremamente penalizzata dalla legge 110/1975 che aveva previsto originariamente la possibilità di detenere solamente due armi comuni da sparo e sei da caccia.
Ovviamente, chi pratica il tiro accademico o il tiro dinamico necessita di molte più armi, considerato che, per esempio, le armi in calibro .22 Short o Long Rifle, anche se lunghe, sono sempre considerate armi comuni da sparo e non armi da caccia. Dodici armi per uso sportivo possono soddisfare ormai, nella maggior parte dei casi, tutte le esigenze dei tiratori agonistici e non agonistici.
[Intervento dal titolo: Le principali novità sulla circolare interpretativa del D.Lv 104/2018 del 12.9.2018 presentato dal dottor Biagio Mazzeo, Procuratore Capo alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Lanusei, al Convegno Giuridico Nazionale di Studio sulla Disciplina delle Armi tenutosi al Vicenza HIT Show il 10 febbraio 2019]
articolo interessante anche se un po’ più tecnico di quanto le mie capacità.
Buon giorno vorrei sapere se acquistassi un saiga 102 in 223 rem e montarssi un caricatore da 10 colpi al posto dell’originale l’arma resterebbe un a7 oppure cambierebbe classificazione inoltre l’obbligo di iscrizione al poligono senza interruzione è obbligatorio per tutti o solo chi possiede cat.a6 a7 se uno come me che ha saltato un anno di iscrizione rischia il porto d’armi grazie.