La domanda che tutti pongono quando arriva una nuova legge, soprattutto se preceduta da un notevole dibattito propagandistico è, per l’appunto: che cosa cambia?
Di Biagio Mazzeo – magistrato
Nel caso della legittima difesa verrebbe, a istinto, da rispondere: niente! In effetti, la prima riforma del 2006 non ha portato grandi cambiamenti nella prassi e nella giurisprudenza, mentre probabilmente è stato minimo l’impatto concreto sui paventati pericoli di una ‘corsa ad armarsi’, il temuto ‘Far West’, l’incentivo a farsi giustizia da sé e così via.
Abbiamo la fortuna di vivere in una nazione, in cui – escluse alcune aree afflitte da sempre da fenomeni di criminalità organizzata – sostanzialmente vi è un buon livello di sicurezza, testimoniato dal limitato numero di delitti di sangue, costantemente in calo da anni. Inoltre, i casi di persone che sparano o comunque feriscono o uccidono per difesa (vera o supposta) sono veramente pochi, anche se – per comprensibili ragioni – ampiamente enfatizzati dagli organi di informazione.
Tuttavia, le leggi non dovrebbero essere scritte solo per fronteggiare emergenze ma anche per regolare situazioni che potrebbero verificarsi, indipendentemente dalla loro incidenza statistica. Il cittadino, insomma, ha diritto a leggi giuste ed equilibrate, che lo garantiscano da eccessi o abusi da parte di chiunque.
Veniamo allora alla cosiddetta legittima difesa.
Probabilmente, non esiste alcun ordinamento giuridico che non la preveda. Il principio a base della convivenza civile, in forza del quale nessuno è autorizzato a farsi giustizia da solo, vede sempre eccezione (in qualsiasi Stato civile) nei casi e nelle situazioni in cui una persona, trovandosi a subire una minaccia immediata, non abbia né il tempo né la possibilità concreta di ottenere l’immediato intervento dell’organo pubblico preposto a tutelarlo.
Fa un po’ sorridere, perciò, l’atteggiamento di chi ravvisa nella legittima difesa addirittura la lesione del principio del ‘monopolio della forza’ da parte dello Stato, come se il fatto di impedire un reato da parte di un privato cittadino costituisse una sorta di usurpazione di una prerogativa riservata al potere pubblico o una minaccia eversiva per l’ordine costituito.
In realtà, tutti noi – spesso inconsapevolmente – poniamo in essere comportamenti di difesa, che sono tanto normali che nessuno ne metterebbe in dubbio la legittimità.
Per esempio, il chiavistello alla porta d’ingresso, che permette di socchiuderla impedendo all’estraneo che bussa di entrare, è un semplice strumento di difesa del proprio domicilio. Se qualcuno cercasse di entrare di forza in casa nostra, avremmo tutto il diritto di impedirglielo, anche con la nostra forza fisica e pure correndo il rischio che l’intruso possa farsi male a seguito della reazione. Credo dunque che a nessuno verrebbe in mente di sostenere, in nome del ‘monopolio della forza dello Stato’, che sia illecito installare un chiavistello, perché semmai, in caso di violazione di domicilio, si dovrebbe chiamare la polizia.
Lasciando da parte il fatto che è piuttosto difficile che l’intervento della forza pubblica sia immediato, come chiunque abbia sperimentato almeno una volta nella vita telefonando al 112 o al 113, considerato anche il tempo necessario per spiegare il problema all’operatore che ci risponde, sappiamo anche che sono proprio i rappresentanti delle forze di polizia a sollecitare i cittadini ad assumere atteggiamenti di autotutela, ovviamente lecita, per limitare i rischi.
Vengono organizzate conferenze nelle scuole o presso associazioni private, rivolte a giovani, anziani, donne, nel corso delle quali sono forniti consigli su come evitare i pericoli del web, come ridurre il rischio di furto in abitazione, come non cadere nelle truffe, come evitare violenze sessuali e così via. Il messaggio che passa è sempre lo stesso: lo Stato vi tutela al massimo possibile ma poiché è meglio prevenire che intervenire dopo che il danno si è verificato, è utile attrezzarsi di conseguenza. Naturalmente, nel corso di queste conferenze, tenute da appartenenti alle forze di polizia, non viene incoraggiato l’uso delle armi o della violenza. Ma il principio di base è lo stesso: mettersi nelle condizioni di prevenire i rischi, per esempio, con impianti antifurto e adottando adeguate precauzioni.
Quando le precauzioni non bastano, si entra nel territorio della ‘difesa’ propriamente detta. Difendersi significa essenzialmente proteggere se stessi, una persona, animali o cose dall’aggressione altrui. Non si difende solo chi spara a un rapinatore, ma anche il commerciante che cerca di impedire a un ladruncolo di portare via la merce senza pagarla; si difende pure chi cerca di impedire a un estraneo di entrare nella sua proprietà; si difende chi bastona un cane randagio per non fargli sbranare il proprio gatto.
Gli esempi possono essere infiniti ma il concetto dovrebbe essere chiaro: costituisce difesa (vedremo poi se legittima o meno) qualunque azione diretta a impedire l’aggressione a se stessi oppure ad altre persone o cose, anche quando cioè avviene a favore di terzi (soccorso difensivo).
A questo punto viene fatto di domandarsi: perché la difesa non è sempre legittima?
In effetti, per strano che possa apparire a un osservatore non tecnico, la difesa può costituire un illecito, di gravità più o meno elevata, a seconda dei mezzi usati e delle conseguenze prodotte.
Quando la difesa è legittima
Immaginiamo il caso di un contadino, deciso a difendere il proprio orto dai furti, che si apposti nottetempo armato di fucile per sorprendere gli eventuali ladri e che, accorgendosi che qualcuno si è introdotto nella sua proprietà, gli spari uccidendolo.
Non c’è bisogno di essere esperti giuristi per comprendere che la condotta del contadino è illecita, tanto che inevitabilmente verrà chiamato a rispondere di omicidio volontario. Anzitutto, egli ha sparato a una persona che era entrata nella sua proprietà senza neppure essere sicuro che lo avesse fatto per rubare: poteva infatti essersi introdotto per sbaglio. Inoltre, anche se fosse davvero entrato per rubare, il proprietario avrebbe potuto semplicemente metterlo in fuga o, addirittura, arrestarlo per consegnarlo alla polizia, senza doverlo uccidere o ferire. Infine, appare evidente la sproporzione tra il sacrificio di una vita umana, sia pure di un malfattore, rispetto al modesto valore degli ortaggi o dei frutti di cui l’intruso intendeva appropriarsi.
Dall’esempio che precede emerge chiaramente una serie di elementi che devono sussistere affinché la difesa possa essere qualificata come legittima. Anzitutto, la necessità dell’azione difensiva: il contadino avrebbe potuto tutelare la sua proprietà in altri modi, senza ricorrere alla violenza e senza uccidere. Vi è poi il principio di proporzione, che sussiste quando – in base a criteri di ragionevolezza – il bene da difendere è di valore molto inferiore a quello che occorre sacrificare per difenderlo.
Il vecchio articolo 52 del Codice Penale, quello che un tempo stabiliva i requisiti della difesa legittima, era composto da un solo comma: Non è punibile chi ha commesso il fatto, per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa.
Nella sua apparente semplicità, in effetti, la disposizione poneva (e pone tuttora) una serie di limiti all’esercizio della difesa, affinché la stessa possa essere qualificata come legittima. Devono sussistere congiuntamente: necessità, costrizione, diritto della vittima, pericolo, attualità di quest’ultimo, ingiustizia dell’offesa, proporzione.
Tutti questi elementi, indicati dal legislatore, tratteggiano uno scenario piuttosto complesso, tale da lasciare fuori numerose situazioni, che – sebbene qualificabili come ‘difesa’ – a una analisi approfondita risultano mancanti di uno o l’altro elemento e, di conseguenza, non sono legittime.
Per esempio, il requisito della ingiustizia dell’offesa non permette di giustificare una azione teoricamente difensiva diretta verso qualcuno che agisce legittimamente, come potrebbe fare l’ufficiale giudiziario che sottopone a pignoramento dei beni. La necessità di difesa deve poi essere tale per cui la vittima sia anche costretta a difendersi; perciò, la difesa non è legittima se vi era una alternativa praticabile, come far scattare l’allarme elettronico per evitare un furto, invece di sparare. Il requisito della attualità significa inoltre che la difesa deve avvenire mentre l’offesa si verifica, non dopo; altrimenti non di difesa si tratta ma di vendetta o, nel migliore dei casi, di esercizio arbitrario delle proprie ragioni.
Infine, ma non ultimo in ordine di importanza, il criterio della proporzionalità. In passato, si tendeva a interpretare in modo abbastanza elastico tale requisito, tenendo conto soprattutto dei mezzi a disposizione della vittima. Oggi prevale l’opinione (costituzionalmente orientata) secondo cui occorra confrontare i valori in gioco, con la conseguenza che una vita umana – sia pure, come già detto, quella del criminale – non debba essere sacrificata per difendere un bene materiale, seppur di ingente valore. Da questo punto di vista, la nuova legge nulla cambia, nel senso che non è stato rimosso il principio di proporzione che giustifica la difesa ma – nel solco della precedente riforma – si è ulteriormente sottolineato che, quando ricorrono determinate condizioni, la difesa è sempre proporzionata.
La nuova norma
Dopo l’entrata in vigore della ‘riforma Salvini’, che con la legge 26 aprile 2019 numero 36 va a incidere sul testo dell’articolo 52 già riformato nel 2006, il dettato del secondo, terzo e quarto comma è il seguente:
2. Nei casi previsti dall’articolo 614, primo e secondo comma, sussiste sempre il rapporto di proporzione di cui al primo comma del presente articolo se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un’arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere:
a) la propria o la altrui incolumità;
b) i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo di aggressione.
3. Le disposizioni di cui al secondo e al quarto comma si applicano anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto all’interno di ogni altro luogo ove venga esercitata una attività commerciale, professionale o imprenditoriale.
4. Nei casi di cui al secondo e al terzo comma agisce sempre in stato di legittima difesa colui che compie un atto per respingere l’intrusione posta in essere, con violenza o minaccia di uso di armi o di altri mezzi di coazione fisica, da parte di una o più persone.
Abbiamo messo in grassetto le parti aggiunte o modificate rispetto al testo precedente che, con la legge 13 febbraio 2006 numero 59, aveva per la prima volta rinnovato l’articolo 52 del Codice Penale introducendo novità – come recitava il suo titolo – in materia di diritto all’autotutela in un privato domicilio. In sostanza, la tanto sbandierata riforma si è limitata ad aggiungere l’avverbio sempre al secondo comma e a inserire un quarto comma all’articolo 52 del Codice Penale, vigente dal 2006.
Le novità del 2019
Cominciamo dall’analisi del secondo comma. Abbiamo detto all’inizio che la difesa, per essere giudicata legittima dalla autorità giudiziaria, deve rispondere a determinati requisiti. Siccome il requisito più controverso, la proporzione, è quello soggetto a maggior apprezzamento discrezionale da parte del giudice, già con la precedente riforma (che per molti versi rimane invariata) si era cercato di ancorare la discrezionalità a determinati paletti, che finiscono per essere ulteriori requisiti di legittimità della condotta.
In altre parole, se la previsione generale del primo comma dell’articolo 52 non è sufficiente a scagionare la persona che pretende di avere agito in stato di legittima difesa, può entrare in gioco quella del secondo comma, la quale – si badi bene! – non esclude l’applicabilità delle regole presenti nel primo comma ma incide solo sulla sussistenza della proporzione.
Quindi, dato per scontato che siano rispettati tutti i requisiti di legge ma che sia dubbia la sussistenza della proporzione, qualora il fatto avvenga in luogo di privata dimora (i luoghi di cui tratta l’articolo 614 del Codice Penale), il giudice è tenuto a ritenere proporzionata la difesa, a condizione che si riscontrino gli ulteriori elementi indicati nel comma in esame.
Gli elementi da prendere in considerazione sono i seguenti:
1. legittimità della presenza nel luogo da parte di chi agisce in difesa;
2. legittima detenzione dell’arma (o di altro strumento idoneo);
3. la finalità, che deve essere quella di difendere la propria o l’altrui incolumità, oppure i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo di aggressione.
I primi due elementi introducono una limitazione che non era presente nella legge prima della riforma del 2006. In sostanza, si esige che la persona si trovi legittimamente sul luogo (quindi un ladro non può difendere il padrone di casa, se viene aggredito da un altro ladro, che per caso si trovi nella stessa abitazione) e che l’arma sia legittimamente detenuta (quindi, se l’arma apparteneva a un familiare deceduto e non ne è stata fatta la denuncia dall’attuale detentore, il padrone di casa non può giovarsi della presunzione di proporzionalità della difesa, anche se ricorressero tutti gli altri presupposti, risultando illegale la detenzione).
Lasciamo per un attimo da parte questo aspetto e ipotizziamo che tutte le persone presenti sul luogo vi si trovassero legittimamente e che anche l’arma utilizzata fosse legalmente detenuta; resta comunque da prendere in considerazione la finalità della difesa esercitata. La legge, infatti, non dice che nel proprio luogo di dimora chi spara è sempre giustificato, ma dice che è legittimato se l’uso dell’arma sia stato determinato, alternativamente, dalla necessità di difendere la propria o l’altrui incolumità o, invece, i beni (propri o altrui), quando non vi è desistenza e vi è pericolo di aggressione.
Vediamo quale significato può avere questa previsione. La difesa della propria o dell’altrui incolumità costituisce un caso tipico di difesa legittima, per cui l’averla esplicitata nel comma introdotto dalla legge del 2006 non modifica in nulla lo stato di cose precedente. La difesa è sempre proporzionata (non perché lo dica la nuova legge ma perché è insito nel concetto stesso di difesa legittima) quando si agisce per tutelare l’integrità fisica o la vita propria o di un’altra persona. Su questo punto non ci sono mai stati dubbi, sicché la disposizione in esame è in pratica del tutto inutile. Ciò a meno che non si voglia intendere che, nel luogo di dimora, una persona possa esercitare la difesa anche al di fuori dei limiti di ragionevolezza: per esempio, se minacciati da un bambino con una fionda (che indubbiamente può essere uno strumento idoneo a ledere l’integrità fisica di una persona) e, dunque, legittimando la facoltà di sparargli. Una siffatta conclusione è talmente assurda da implicare chiaramente la violazione del principio di ragionevolezza insito nell’articolo 3 della Costituzione, con conseguente illegittimità costituzionale della norma.
Passando all’altro requisito, sembra di capire che in casa si possa sparare anche per difendere la proprietà, ma non è così. La difesa è proporzionata se, oltre alla necessità di difendere dei beni materiali (per esempio, gioielli di famiglia), non vi è desistenza e vi è pericolo di aggressione. Innanzitutto, che cosa vuol dire desistenza? Nel diritto penale, la desistenza consiste nel comportamento di una persona che abbia iniziato a commettere un reato ma poi, spontaneamente, decida di cessare l’azione illecita. Per esempio, una persona entra con passamontagna e pistola in mano in un negozio per compiervi una rapina, ma poi si pente e, senza esservi costretto da nessuno, decide di allontanarsi senza portare a termine il suo intendimento criminoso. Ora, nel caso di una intrusione nel luogo di dimora, la persona che vi abita non è detto che possa rendersi conto facilmente se c’è o meno desistenza. È possibile che il ladro o il rapinatore, vedendo apparire il padrone di casa, possa (non proprio spontaneamente) darsi alla fuga e quindi desistere; in questo caso, l’uso delle armi sarebbe non solo sproporzionato, ma pure del tutto ingiustificato.
Tuttavia, non basta che l’intruso non desista (in pratica, che non si dia alla fuga) ma occorre anche che vi sia pericolo di aggressione. Ora, come è noto, il pericolo è una situazione meramente potenziale. Se una persona si sporge da un balcone, c’è il pericolo che possa cadere ma non è detto che ciò avvenga. Quando analizziamo una determinata situazione, la nostra valutazione sulla sussistenza di un pericolo è legata a una serie di elementi, molti dei quali soggettivi. Un bambino che gioca con un cane può essere in pericolo o meno, tenendo conto dell’indole dell’animale, dell’età del bambino e così via.
Volendo togliere al giudice la discrezionalità nel valutare se la difesa è stata o non è stata proporzionata, la legge gli affida una valutazione discrezionale, ancora più soggettiva, in relazione alla sussistenza o alla insussistenza del pericolo di aggressione. Pertanto, il giudice – fermo restando che non vi era la necessità di tutelare la propria o l’altrui incolumità, altrimenti non si pone neppure il problema – deve decidere, sulla base degli atti di indagine, se l’azione è stata giustificata dal fatto che vi era effettivamente il pericolo che l’intruso stesse per aggredire il padrone di casa o chi altri legittimamente presente nell’abitazione. Si elimina quindi un parametro di discrezionalità per inserirne un altro ancora più discrezionale, e l’aggiunta dell’avverbio sempre introdotto dalla riforma del 2019 non cambia nulla, perché non impedisce al giudice di pronunciarsi circa la sussistenza del pericolo di aggressione.
L’ultimo comma, aggiunto anch’esso nello stesso anno, introduce invece una presunzione di legittimità assoluta della difesa (non si parla più della sola proporzionalità), qualora ricorra una specifica situazione: la necessità di respingere l’intrusione posta in essere, con violenza o minaccia di uso di armi o di altri mezzi di coazione fisica, da parte di una o più persone. Mettiamo da parte il numero delle persone, perché è sufficiente che l’intruso sia da solo. Occorre però che l’intrusione avvenga con violenza o la minaccia dell’uso di armi o di altri mezzi di coazione fisica.
La disposizione, secondo il significato delle parole nella lingua italiana, dice che si agisce in stato di indiscutibile legittima difesa se si reagisce a una intrusione (vedremo dopo il significato da dare a questo sostantivo) attuata con violenza (sulle persone o anche sulle cose?) o minacciando di usare armi o altri strumenti atti a offendere: non – si badi! – con armi, ma con minaccia di uso di armi, il che significa che l’intruso potrebbe manifestare l’intenzione di usare armi, anche se non le fa vedere.
Questo comma è sicuramente scritto in modo tecnicamente criticabile, perché alla fine non fa comprende esattamente quale tipo di situazione difensiva si sia voluta rendere legittima. Intrusione vuol dire il fatto di introdursi abusivamente in un luogo ma ‘respingere l’intrusione’ dovrebbe essere l’azione di impedire all’estraneo di introdursi in casa propria. Quindi, letteralmente, dovremmo immaginare che non rientri in questa ipotesi la difesa diretta verso chi si sia già introdotto: in questo caso, infatti, l’intrusione è già avvenuta e non è più possibile respingerla, ma solo scacciare l’intruso.
In conclusione
Si comprende bene che la disciplina della legittima difesa, che già non era di facile comprensione quando essa era regolata da un solo comma che la definiva in modo generale, appare oggi una sorta di rebus grazie alle ripetute riforme, che hanno aggiunto tre commi di non chiara interpretazione.
Se lo scopo era quello di restringere il campo di discrezionalità del giudice e di semplificare l’individuazione, da parte del semplice cittadino, dell’ambito in cui ci si può legittimamente difendere, appare chiaro che tale scopo non è stato raggiunto, né con la riforma del 2006 né, tanto meno, con quella del 2019.
Si comprende però anche molto bene come gli strepiti di alcuni commentatori paladini del politicamente corretto non hanno ragione d’essere. Il Codice Penale – anche dopo le due citate riforme – non autorizza affatto a farsi giustizia da sé, non consente di sparare sempre e comunque all’intruso, e non permette di sparare per difendere la proprietà di cose materiali a prezzo di sacrificare la vita del malfattore; meno che mai permette di sparare alle spalle al ladro che fugge o, peggio, di inseguire e giustiziare il ladro o il rapinatore (come qualche volta verificatosi in casi di cronaca ampiamente conosciuti).
Tanto rumore per nulla, dunque? Non proprio! La modifica del Codice Penale deve essere oggetto di approfondita lettura e interpretazione da parte della giurisprudenza, che nel tempo potrà chiarire i dubbi interpretativi attualmente irrisolti. Questo significa che ci vorranno anni prima che si possa avere contezza esatta dell’interpretazione fatta propria dai giudici di legittimità, senza contare il rischio del possibile vaglio da parte della Corte Costituzionale.